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Cinema
suggestioni

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Frederik van Eeden, neurologo olandese, nonché
scrittore e pensatore assai poliedrico della belle
époque, coniò due termini che avranno grande successo:
psicoterapia e sogno lucido (1) . Da poco era
stato inventato il cinema. Il cinema è stato più volte
paragonato al sogno lucido, ma si può dire altrettanto
bene che tutto il cinema sia psicoterapia, se non altro
per l'effetto catartico che esercita sullo spettatore.
Allacciare il tema della psicoterapia a quello del
sogno, dunque, non è solo un omaggio a van Eeden, ma
anche un'iniziazione all'unica arte che il XX secolo
abbia prodotto.
Paolo Clemente
(1) "These dreams could not be dreams, said Maury
(1878). Now this is simply a question of nomenclature.
[...]
If
anybody refuses to call that state of mind a dream, he
may suggest some other name. For my part, it was just
this form of dream, which I call 'lucid dreams', which
aroused my keenest interest and which I noted down most
carefully"
Van Eeden, F., 1913, cit. in C.Tart, a cura di, "Altered
States of Consciousness", New York 1990, p. 178. |
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OLTRE IL GIARDINO di Hal Ashby (1979)
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Grande film, geniale interpretazione di
Peter Sellers.
Va rispettato l'assunto del film perciò è
bene astenersi dall'interpretare e trovare significati: si rischierebbe di
attribuire senso al nulla.
La gente vede ciò che desidera
vedere.
LOD |

El TOPO di A. Jodorowsky (1970)
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L'eroe del film non è il protagonista ma quel vecchio che alleva conigli e che quando si trova davanti lo sfidante cerca nella terra la sua pistola arrugginita e si fa saltare le cervella.
Dopo aver edificato l'ego non resta che distruggerlo: scalare l'egoità dal versante occidentale e poi discenderla da quello orientale.
JAN MAIS |

LA CITTA' INCANTATA
di Hayao Miyazaky (2001)
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Faglie si aprono nel tempo e si richiudono senza che altri se ne accorgano. Come l'Olimpo greco, nemmeno l'al di là orientale è migliore di questo mondo.
Immagino il 'dopo' come l'ennesima sala d'attesa e una voce sconsolata che ripete "acqua, birra e coca... acqua, birra e coca..."
JAN MAIS |

L' ORCHESTRA DI PIAZZA VITTORIO
regia di Agostino Ferrante (2006)
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Dopo gli antidepressivi triciclici, gli antidepressivi atipici e gli antidepressivi inibitori del reuptake della serotonina ecco il primo "ANTIDEPRESSIVO MULTIETNICO".
Un sogno lucido collettivo.
FABRIZIO SEMPER |

APPUNTAMENTO A BELLEVILLE
di Sylvain Chomet (2003)
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L'uomo sa niente del mondo che attraversa, conosce solo la difficile arte di sopravvivere.
Poco amore e poca felicità, solo un compito, perseguito ossessivamente, sopravvivere, nonostante tutto.
Per Champion, inconsapevole precursore di Coppi, un solo compito: pedalare, nonostante tutto.
Fino al solipsistico, autoreferenziale, assurdo pedalare inseguendo uno schermo cinematografico che dal suo stesso pedalare è sospinto ed alimentato.
FABRIZIO SEMPER |
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STALKER di Andrei Tarkovsky (1979)
Gli uomini lo attaccano perché non lo
comprendono. L'Altro esige rispetto altrimenti castiga. La guida è debole,
prega, ha paura. Se scegli di seguirla non è per ricevere protezione ma perché
ha il cuore di un bambino.
JAN MAIS |
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I PUGNI IN TASCA di Marco Bellocchio (1965)
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In un labirinto di doppi legami, nel claustrofobico ambiente della borghesia rurale in disfacimento, un giovane isolato ed epilettico, cerca una impossibile via di fuga. Inutilmente.
La sua carriera psicopatica produce solo parossistica aggressività omicida e, prima della sua fine, anche la perdita dell'intimità, morbosamente vissuta, con l'infantile sorella.
L'autore intuisce ed adombra la contiguità inestricabile tra "normalità" e follia. Tra le due forse solo la follia, ma non questa volta, apre percorsi di rivoluzionaria catarsi.
In questo film giovanile Marco Bellocchio porta il cinema italiano entro le problematiche della mente come nessuno mai prima, nè dopo di lui, è riuscito. Lo stesso Bellocchio rimarrà sempre lontano dalla magnifica maestria creativa attinta in questa occasione.
FABRIZIO SEMPER |

THE TRUMAN SHOW di Peter Weir (1988)
"Dopo aver compreso la trappola ontologica in cui è preso dalla nascita, il protagonista dirige il fiocco (genoa) della sua barca verso la fine del mondo [sarebbe stato bello se avesse indossato i jeans, parola che come 'genoa' viene da Genova, che a sua volta deriva da 'ianua' = porta] finché la prua non cozza contro l'intonaco del cielo in prossimità di una una porta con scritto 'exit' [sarebbe stato bello se una voce fuori campo avesse recitato gli ultimi versi di 'In limine' del genovese Eugenio Montale: 'Cerca una maglia rotta nella rete che ci stringe, tu balza fuori, fuggi! Va, per te l'ho pregato, - ora la sete mi sarà lieve, meno acre la ruggine']."
JAN MAIS |
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IRON 3 di Kim Ki-Duk (2004)
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I libri orientali
sono molto diversi dai libri occidentali perché quella che in occidente è la
conclusione del libro, in oriente è soltanto l'inizio del cammino.
I maestri orientali sono molto diversi da quelli occidentali perché trattano
i propri allievi senza il minimo riguardo.
Come interpretare altrimenti la figura del perfido secondino?
JAN MAIS |

ORLANDO di Sally Potter (1992)
Un viso enigmatico e androgino, un viso di nessuna vita e di tutte le vite.
Facendo scorpacciate di storie il terapeuta accelera il suo ciclo di morti e rinascite. Seduta dopo seduta lentamente si dissolve fino al momento in cui sente che l'aria lo respira e il pensiero lo pensa.
JAN MAIS |

L'ARPA BIRMANA di Kon Ichikawa (1956)
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Pietà come dignità, è questa l'estrema risorsa che permette all'uomo di tollerare l'altrimenti insostenibile sgomento al cospetto degli strazi assurdi della guerra.
Un'elegia interiore ed autoriflessiva, un'epica assolutamente pre-ideologica.
“Nessun uomo può capire il perché di tanti dolori”.
Un film che dovrebbe essere riconosciuto patrimonio dell'umanità.
FABRIZIO SEMPER
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LETTERE DA IWO JIMA
di Clint Eastwood (2006)
L'ex pistolero senza nome
dei western di Sergio Leone è oggi diventato uno dei pochi nomi che rimarranno
nel tempo a testimoniare la grandezza del cinema USA nonostante l'infinita
produzione di "grandiosa" spazzatura commerciale.
Questo è un grande film.
FABRIZIO SEMPER |

LA VIA LATTEA di Luis Buñuel (1968)
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La metafora del pellegrinaggio nel film La Via Lattea di Buñuel
Il viaggio, dall’epoca classica, attraverso Dante, il romanticismo e la letteratura contemporanea, spesso rappresenta l’esplorazione, il desiderio del nuovo, l’ansia dell’uomo di migliorare la sua conoscenza del mondo e della sua stessa natura.
Il pellegrinaggio, un pellegrinaggio tanto profondamente strutturato nel corso dei secoli, quale il cammino di Santiago de Compostela, è all’inverso il paradigma dell’iterativa ripetizione di ritualità e consuetudini da lungo tempo, ossessivamente, codificate.
Il cammino di Santiago (la via lattea, in varie lingue straniere) appare in questo modo una sorta di dogmatica rivendicazione di credenze fondate su oscure e nebulose leggende.
Il film formalmente è strutturato attorno alla presentazione di dogmi ed eresie, in riferimento a episodi della vita di Cristo ed a leggende relative al pellegrinaggio e alla città di Santiago.
Le vicende di due pellegrini, presentati come accattoni alla ricerca di facili opportunità, le scene paradossali e picaresche che si alternano a scene realistiche ed a scene surreali, sono le cornici che il regista usa per una spietata critica del dogmatismo.
Buñuel allude alla chiesa, responsabile di aver svuotato il senso del sacro e di aver aperto, con il rifiuto del dubbio e dell’ "errore", la via all’integralismo fondamentalista ed intollerante, ed alla sua collusione con l’arroganza del potere.
VALENTINA LODOLI |

LE ONDE DEL DESTINO
di Lars von Trier (1996)
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Bess è una mentecatta con delirio di riferimento oppure una martire che offre la propria vita per salvare quella del marito? La guarigione di Jan è compatibile con la prognosi riservata oppure è un evento miracoloso?
L’agorafobico ipocondriaco Lars von Trier riesce a tenersi in bilico per tutto il film, scivolando solo nel finale, quando celesti battaglie dissipano i benefici del dubbio
JAN MAIS |

XXY di Lucía Puenzo (2007)
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Il contrasto tra i due padri, il chirurgo e il padre della protagonista, può essere usato come metafora della contrapposizione tra terapia chiusa e aperta, ovvero tra un percorso di omologazione che opera per ridurre le differenze e uno di individuazione che piuttosto le esalta.
Nella frase 'E se non ci fosse niente da scegliere?' è racchiuso il senso della psicoterapia aperta che di fronte ad apparenti contraddizioni ed incoerenze non fiuta la psicopatologia ma la complessità dell'essere umano.
JAN MAIS |
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From 2011 01 01: |
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